Stress post traumatico – di cosa parliamo?
“Se ripenso a questo evento mi vengono i flashback, come ai reduci del Vietnam!”: è una frase che avrete sentito dire più volte e molto probabilmente avrete anche collegato alle scene dei film dove, all’improvviso, un sopravvissuto guarda il vuoto e inizia a ricordare scene di guerra. Questo perchè i flashback sono forse uno dei sintomi più scenici e comunemente associati allo stress post traumatico, in particolare nella sua condizione patologica.
Ma se da un lato il disturbo post traumatico da stress viene associato ai “sopravvissuti del Vietnam”, dall’altro l’insorgenza di questa condizione può essere dovuta a qualunque tipo di trauma particolarmente incisivo che non venga poi elaborato da chi lo ha vissuto personalmente (detto così è piuttosto complicato, ne parleremo meglio fra poco). È per questo che la scelta di pubblicare questo articolo è ricaduta in questa settimana, in quanto il 26 giugno è stata la giornata nazionale per le vittime di tortura. A mio parere, al di là dei danni fisici subiti, penso ci siano pochissimi eventi traumatici a livello psicologico come la tortura ed è folle pensare che in Italia sia stata riconosciuta come reato solo con la legge 14/07/2017 n.110.
Ma in cosa consiste effettivamente il disturbo post traumatico da stress? Come si classifica a livello clinico? Chi ne è più facilmente soggetto? E ci sono modi per “prevenirlo” in qualche maniera? Ne discutiamo subito, con le dovute premesse che dobbiamo richiamare ad ogni articolo di clinica: ricordiamo sempre che il concetto di psicopatologia in psicologia clinica è un concetto alquanto astratto e che la patologia, in se per se, non vuol dire niente se non per il modo in cui ogni singolo individuo vive personalmente la sua condizione di disagio. Come sempre, per chi non l’avesse ancora fatto, consiglio di leggere, prima di proseguire, il mio plurilinkato articolo sulla malattia mentale, per farsi un’idea sul modo corretto di approcciarsi alle informazioni seguenti.
Alessio e la sua storia di stress post traumatico
Ogni volta che si parla di patologia, in particolare nell’ambito clinico-psichiatrico, c’è sempre la tendenza a fare vuoti elenchi di sintomi. In questo caso, invece, mi piacerebbe raccontarvi come funziona lo stress post traumatico attraverso una storia inventata, che ci dia un’idea delle possibili cause e delle relative condizioni di disagio.
Alessio è un ragazzo di 23 anni, studia Giurisprudenza e ricade nella categoria di persone che definiremmo “normale”. Un giorno Alessio è in macchina con alcuni amici e, molto sfortunatamente, incorre in un grave incidente stradale, scontrandosi con un altro veicolo. Riporta ferite medie, ma la cintura di sicurezza gli salva la vita. Nel corso dell’incidente, sfortunatamente i suoi amici muoiono: lui è l’unico sopravvissuto. A seguito dell’incidente, Alessio inizia ad avere incubi ricorrenti in cui rivive l’incidente e manifesta una tristezza diffusa ritenuta “fisiologica” a seguito dei tragici eventi, alla quale tuttavia si associa una reazione molto poco salutare: Alessio non comprende perchè lui sia stato l’unico a sopravvivere all’incidente fra i suoi amici e si sente in colpa per tale motivo. A distanza di un mese dall’incidente, il senso di colpa di Alessio non è svanito e la tristezza si è trasformata in apatia generale; lui cerca inoltre il più possibile di evitare di ricordare il suo incidente: il solo parlare di macchine lo manda in agitazione.
La storia di Alessio (completamente inventata, ogni riferimento a fatti e persone è completamente casuale), che nella sua tragicità rappresenta comunque solo la punta dell’iceberg di ciò che alcune categorie di psicologi devono trattare nel corso della loro vita professionale, è illustrativa di alcune caratteristiche tipiche dello stress post traumatico.
Prima di parlare dei sintomi, cosa si intende per trauma? Più genericamente, può essere un trauma qualunque situazione dove si rischia di rimanere gravemente feriti o di morire; la situazione può riguardare se stessi o può interessare una persona vicina e deve scatenare una forte paura, orrore o senso di impotenza.
Un trauma che continua a tornare
Come vi ho accennato nell’introduzione, uno dei sintomi portanti del disturbo post-traumatico da stress è legato al rivivere in varie maniere l’esperienza traumatica, ad esempio attraverso flashback, ma nel caso di Alessio attraverso incubi ricorrenti.
Perchè il nostro cervello esercita questo sadismo nei nostri confronti? In genere, il più grave problema riferito ai traumi è l’incapacità di trovare un modo di integrare le informazioni dolorose nei nostri modelli di pensiero: è come quando si dice “Nessuno se l’aspettava, è difficile credere che sia successo qualcosa del genere”. Il nostro cervello, di fatto, difficilmente trova un modo per accettare le informazioni dolorose, in particolare a fronte della loro comparsa improvvisa, al momento in cui è invece strutturato proprio per proteggerci da ciò che può rompere la nostra identità. Se le informazioni dolorose sono in qualche modo rimosse o bloccate e non integrate ed accettate nel corso delle cose, avranno modo di ricomparire in maniera improvvisa e invadente, come a dire “GUARDA CHE SIAMO QUI, NON CI PUOI CANCELLARE”.
Se vogliamo pensare a questa difesa in termini psicodinamici possiamo dire che il nostro cervello “rimuove” questi contenuti, difesa che tuttavia è poco efficiente, al momento in cui i contenuti rimossi tendono a tornare in maniera affettiva e invasiva. In termini più cognitivi, parliamo invece di “amnesia funzionale”, al momento in cui alcuni pezzi delle nostre memorie sono resi inaccessibili dal nostro cervello per evitarci il contatto con informazioni che provocano sofferenza. In entrambi i casi il succo è lo stesso: si cancellano dei dati che però esistono; questa manovra è instabile e appena possono questi dati incompleti tornano ad infestare la nostra coscienza.
Per ciò che riguarda i flashback, chi li vive manifesta sintomi dissociativi veri e propri: sguardo perso nel vuoto, la persona si ritrova a vivere vividamente la situazione un passo alla volta, come se stesse riaccadendo una seconda volta, con tutte le reazioni emotive di sorta. I flashback, in chi soffre di stress post traumatico, in genere sono evocati da sensazioni che richiamano il contesto nel quale si è verificata l’esperienza traumatica. Se Alessio, ad esempio, soffrisse di flashback, avrebbe maggiori probabilità di sperimentarli passando nei pressi del luogo dell’incidente, o ascoltando al tg notizie che parlano di incidenti stradali, ma anche probabilmente riascoltando la canzone che stava trasmettendo la radio al momento dell’incidente.
Il senso di colpa del sopravvissuto
Intorno agli anni ’90 c’è stato un importante incremento negli studi sullo stress post traumatico, collegato all’analisi dei casi dei soldati reduci dalla guerra in Vietnam. Il rilancio degli studi condotti su questi pazienti ha lanciato poi nella cultura comune il concetto di “Flashback del Vietnam”, sebbene le storie portate da queste persone fossero particolarmente tragiche (ed è tragico pensare che si tratta di storie che sono tutt’altro che distanti dalla realtà anche al giorno d’oggi). Una risposta allo stress post traumatico meno comune è quella del ” senso di colpa del sopravvissuto” (survivor guilt), molto più presente e rilevata invece nei sopravvissuti alla guerra del Vietnam.
Così come nella sua storia Alessio si sente in colpa per essere sopravvissuto all’incidente a differenza dei suoi amici, il DSM IV (Manuale Diagnostico Statistico dei Disturbi Mentali, Quarta edizione) riporta il senso di colpa del sopravvissuto come il senso di colpa esperito al momento in cui si è gli unici sopravvissuti a fronte di una situazione tragica, oppure all’idea di aver dovuto eseguire degli atti barbarici per sopravvivere. Nel caso dei reduci del Vietnam, ad esempio, tale senso di colpa può essere connesso anche all’aver dovuto uccidere donne e bambini per garantire la propria sopravvivenza: in questi termini tale condizione viene anche definita come “senso di colpa connesso alle azioni in combattimento” (guilt about combat action). Nei tragici casi del Vietnam, alcune ricerche hanno riportato come la presenza di questi sensi di colpa fosse fortemente correlata con la possibilità che i soggetti provassero in seguito a commettere il suicidio 1.
Ansia ed apatia
A distanza di un mese, nella sua storia, Alessio ha iniziato a sviluppare un senso di apatia diffuso. Non prova tanta voglia di fare cose e ha perso molto entusiasmo in generale. Nello stress post traumatico l’appiattimento affettivo è una condizione piuttosto comune, in genere può essere legata al tentativo inconscio di chi ha subito il trauma di evitare condizioni che glielo ricordano, tentativo che però limita notevolmente le possibilità dell’individuo. Così, ad esempio, Alessio, nel tentativo di allontanare le memorie dell’incidente, smette di prendere la macchina, condizione che però gli rende particolarmente difficile uscire con gli amici.
Un’altra problematica che compare spesso nei casi di stress post traumatico (ma che non ho descritto nella storia di Alessio) è l’aumento del livello di attivazione della persona. In generale, chi ha subito un trauma, mostra livelli di ansia, vigilanza e irritabilità più elevati: è un po’ come quando si dice che i reduci di guerra dormono sempre “con un occhio aperto”. Il nostro corpo è preparato in ogni momento a proteggerci dal ripetersi del trauma, per quanto questa condizione sia altamente improbabile e, in ogni caso, imprevedibile.
In parole povere, la maggior parte della sintomatologia legata allo stress post traumatico consiste nell’evitamento di situazioni e memorie che richiamino l’evento traumatico, con la possibilità del verificarsi di flashback quando al contrario questo avviene. Questo evitamento può essere esplicito ed implicito, con la persona che semplicemente cerca di sviare i discorsi o che non riesce a ricordare gli eventi connessi al trauma. Una conversazione tipo potrebbe essere:
Amico: “Senti, so che non c’è stata occasione di parlarne, ma come ti senti? Intendo in relazione all’incidente”
Alessio: *visibilmente agitato* “Non ricordo molto di quel giorno comunque… senti, come va con il lavoro? Hai avuto novità in merito a quella promozione?”
Cosa si può fare?
Se si verifica una situazione potenzialmente traumatica (che può coinvolgere anche più individui, come le calamità naturali) il primo intervento principale va fatto immediatamente: la presenza di una rete di supporto efficiente e un intervento psicologico istantaneo riducono notevolmente poi la necessità di una eventuale terapia in seguito.
Sui luoghi delle calamità naturali, ad esempio, è comunissimo trovare gli psicologi dell’emergenza: il loro compito principale è aiutare le persone a superare il primo shock iniziale e ad integrare le informazioni riguardanti ciò che è appena accaduto. Le persone che hanno subito un forte trauma, infatti, attraversano un primo momento di confusione, perchè non riescono a capire effettivamente cosa sia accaduto: reintegrare al prima possibile le informazioni e dare un ordine a ciò che è successo è un passo fondamentale per la prevenzione del disturbo post traumatico da stress.
Mi è capitato molto spesso di sentire delle persone dire “Ma alla gente che ha subito un terremoto non servono gli psicologi, è molto più utile fornire del cibo e un tetto”. Sembra proprio ciò che direbbe qualcuno che non ha subito un terremoto e che quindi non ha idea dell’alterazione psicologica di cui abbiamo parlato fino ad adesso. “Fornire del cibo e un tetto” è una necessità senza dubbio primaria, ma è molto difficile da fornire immediatamente a tutti i sopravvissuti ad un terremoto, inoltre una cosa non esclude l’altra: il supporto psicologico è importante, veloce e fondamentale. Per più informazioni vi consiglio di visitare il sito di “Psicologi per i popoli“, un gruppo di psicologi dell’emergenza volontari spesso presenti sui luoghi dei disastri.
Anche a distanza di tempo, in ogni caso, è possibile agire sullo stress post traumatico con la terapia. In generale tutti gli orientamenti usano strategie diverse: in un ottica cognitivo-comportamentale si può provare ad esporre il cliente al ricordo del trauma poco alla volta, per permettergli di capire che ricordare il trauma non vuol dire riviverlo. In un ottica dinamica si cerca di reintegrare le informazioni rimosse nella coscienza del cliente. In un ottica costruzionista proverei a cercare di rilevare la maniera in cui il cliente sta venendo a patti con l’avvenimento, provando a ricostruire, in collaborazione con esso, queste informazioni in un’ottica di evoluzione e superamento consapevole. Anche sul livello farmacologico, gli psichiatri possono integrare la psicoterapia con l’assunzione di farmaci specifici per l’ansia, come ad esempio le benzodiazepine.
Ma le cose sono veramente così?
Fin’ora abbiamo fatto una relazione abbastanza attendibile sullo stress post traumatico, in particolare alla sua versione patologica. Ma, se avete letto l’articolo che vi ho consigliato all’inizio (se non l’avete fatto fatelo, vi conviene!) sapete già che effettivamente sarebbe troppo semplice le cose stessero effettivamente così.
Non solo ogni disturbo post traumatico da stress è diverso dagli altri, ma talvolta è anche difficile capire che si tratta di stress post traumatico, perchè molti sintomi si possono sovrapporre a delle diagnosi ad esempio di depressione, o di altri stati d’ansia.
Così ci può essere il cliente che è infinitamente apatico, ma ogni tanto fa degli incubi dove ricorda il trauma e sembra tutto meno che iperattivo. Possiamo parlare di depressione oppure di disturbo post traumatico? E se invece il cliente vive uno stato costante di ansia che lo blocca addirittura in casa, e questo a seguito di un trauma, si tratta ancora di stress post traumatico o è una condizione agoràfobica? E se si sviluppano degli attacchi di panico?
Il punto è che, come detto e ridetto, le categorie diagnostiche sono solo indicative e servono orientativamente solo al terapeuta, non al cliente. La comorbidità (brutta bestia della psicologia clinica) è la condizione per la quale classi di sintomi in realtà sono riscontrabili in diversi disturbi, è quindi difficile determinare una diagnosi reale per il paziente.
Un terapeuta efficace preferisce crearsi una cornice di riferimento (“è probabile che il cliente abbia un disturbo post traumatico da stress”) e provvedere poi ad indagare sensazioni e necessità del cliente, in maniera flessibile e strategica e senza farsi bloccare dalla diagnosi iniziale.
In conclusione: se pensi di soffrire di disturbo post traumatico da stress
Per concludere: questo articolo, come sempre, non ha alcuna valenza diagnostica. Se leggendo queste informazioni ti è venuto in mente che potresti soffrire di Disturbo post traumatico da stress, o anche condizioni leggere di stress post traumatico, rivolgiti sempre ad un professionista della salute mentale, come uno psicologo, uno psicoterapeuta o uno psichiatra, per chiarire i tuoi dubbi.
Non posso mai sottolineare abbastanza quanto ogni condizione di disagio mentale sia unica nel suo genere e in quanto tale vada trattata e discussa specificatamente in relazione al caso singolo (così come non esiste IL Disturbo post traumatico da stress, non esiste neanche la “medicina unica che vale per tutti”, nè la “bacchetta magica che risolve i problemi”).
Non sentirti stupido, o stupida a presentare i tuoi dubbi o le tue preoccupazioni ad un terapeuta: se hai sentito la necessità di farlo c’è qualcosa che in questo momento non funziona come vorresti nella tua vita, indipendentemente da cosa, ed il terapeuta è lì per aiutarti.
Altri riferimenti bibliografici
- Hansell J., Damour L. Psicologia Clinica. Bologna: Zanichelli 2007.