Esiste veramente la fortuna?
Esiste veramente la fortuna? Senza dubbio è un argomento complicato, e più difficile diventa discutere se questa cosiddetta forza incontrollabile esista o come ottenerla. Se dovessimo cercare su internet una definizione di fortuna, probabilmente troveremmo spiegazioni su quanto questa appartenga al caso. Prendiamo la definizione del lessiografo statunitense Noah Webster: la fortuna è “una forza senza scopo, imprevedibile e incontrollabile che plasma gli eventi in maniera favorevole per un individuo, un gruppo o una causa“.
Ma come si può ottenere quest’ultima nelle giornate quotidiane? Quante volte sentiamo dire dalle altre persone o da noi stessi: “Che bello oggi mi sento particolarmente fortunato“, oppure “Oggi è stata una giornata davvero sfortunata, mi è successo di tutto”; “Sì, secondo me la fortuna esiste, e c’è gente più fortunata di altri”.
Ovviamente diviene facile in quest’ottica inquadrarla come una forza imprevedibile che plasma gli eventi.
Ma vi siete mai chiesti quanto influisca la considerazione psicologica della fortuna su essa stessa?
Breve racconto cinese: il contadino saggio
C’era una volta un contadino cinese, era molto povero, per vivere lavorava duramente la terra con l’aiuto di suo figlio, ma possedeva il grande dono della saggezza.
Un giorno il figlio gli disse:
– Padre che disgrazia, il nostro cavallo è scappato dalla stalla! Padre: Perché la chiami disgrazia? Aspettiamo e vediamo cosa succederà nel tempo! Qualche giorno dopo il cavallo ritornò portando con sé una mandria di cavalli selvatici.
Figlio: Padre che fortuna! Il nostro cavallo ci ha portato una mandria di cavalli selvatici. Padre: Perché la chiami fortuna? Aspettiamo e vediamo cosa succederà nel tempo. Qualche giorno dopo, il giovane nel tentativo di addomesticare uno dei cavalli, venne disarcionato e cadde al suolo fratturandosi una gamba.
Figlio: Padre che disgrazia, mi sono fratturato una gamba. Ma anche questa volta il saggio padre sentenziò:
– Perché la chiami disgrazia? Aspettiamo e vediamo cosa succede nel tempo!
Il ragazzo, per nulla convinto delle sagge parole del padre, continuava a lamentarsi nel suo letto. Qualche tempo dopo, passarono per il villaggio gli inviati del re con il compito di reclutare i giovani da inviare in guerra. Anche la casa del vecchio contadino venne visitata dai soldati reali, ma quando trovarono il giovane a letto, con la gamba immobilizzata, lo lasciarono stare per proseguire il loro cammino. Qualche tempo dopo scoppiò la guerra e molti giovani morirono nel campo di battaglia, il giovane si salvò a causa della sua gamba zoppa. Fu così che il giovane capì che non bisogna mai dare per scontato né la disgrazia né la fortuna, ma che bisogna dare tempo al tempo per vedere cosa è bene e cosa è male.
Qual’è la morale della storia? Apparentemente sembra naturale ricavare un considerazione relativa alla domanda: “esiste la fortuna?” Il racconto del saggio vuol dimostrare che anche negli avvenimenti più spiacevoli è possibile carpire qualche briciola di positività. Certo, probabilmente a un lettore verrebbe in mente: “sì ok, facile propinare un discorso di questo tipo, è come dire non tutti i mali vengono per nuocere“, oppure, “basta tirare fuori il meglio dal peggio“. Però la verità è che è più facile a dirsi che a farsi, e se si parla dell’esistenza della fortuna (o sfortuna) l’approccio consigliato dall’articolo riguarda quanto a volte la considerazione di essa influisca sul corso degli eventi.
La storia di Luca
Luca è un ragazzo intelligente, interessante, carino e abbastanza sensibile. Ha 25 anni e nel corso della sua vita ha avuto all’incirca 3 storie d’amore serie, tutte e tre finite male.
Luca decide che per un po’ di tempo non vuole sentir proprio parlare di ragazze a causa del fatto che l’ultima lo ha particolarmente ferito. Luca si ritiene abbastanza fortunato per vari aspetti della sua vita. L’università va bene, ha dei buoni amici e svaghi vari, ma non parlategli di relazioni sentimentali perché probabilmente risponderà: “No con le ragazze sono proprio sfortunato. Non me ne va bene una“.
Da un po’ di tempo all’università Luca incrocia spesso gli sguardi di una ragazza molto carina. Quest’ultima ricambia frequentemente le sue occhiate e sembrerebbe interessata ad avere una conversazione con lui; tuttavia Luca non si decide a chiederle nemmeno un caffè nonostante gli intensi sforzi dei suoi amici affinché lui la inviti ad uscire. Siamo quasi alla fine dell’anno, la laurea è vicina e dopodiché chi si è visto si è visto.
Dopo un po’ di tempo dalla fine dell’anno Luca ripensa a quella ragazza con rimpianto in quanto si rende conto di essere stato proprio un “vigliacco” per non averle chiesto neanche un caffè, crogiolandosi nell’idea di essere un ragazzo destinato ad avere sfortuna in campo sentimentale.
La considerazione di sé come ragazzo sfortunato in campo sentimentale ha portato Luca a non fare nemmeno un tentativo con quella ragazza. Certo qualcuno potrebbe dire: “poteva andargli male“, oppure: “vuol dire che era destino“. Ma se si parte dal presupposto che il destino è un concetto relativo e fondamentalmente lo costruiamo noi, Luca avrà avuto tutto il diritto di provarci con quella ragazza, e magari POTEVA andargli bene.
Considerazioni
La storia di Luca serve a titolo di esempio per far luce su alcuni aspetti.
Luca si considera un ragazzo sfortunato dicendo “Io sono sfortunato in campo sentimentale“. Una frase del genere la si potrebbe ritrovare in vari campi nella vita di tutti i giorni: posso dire di essere sfortunato con gli esami, all’università, a lavoro, nei giochi di carte ecc. Attenzione però, perché in tutti in questi casi useremmo il VERBO ESSERE, il che risulta di forte impatto a livello psicologico, e potrebbe produrre due aspetti:
- IMPOTENZA: l’impotenza riguarda una delega, un trasferimento delle mie responsabilità verso qualcosa che io presumo di non poter controllare. “Sono davvero sfortunato in questo periodo, sta andando tutto male, sento di non poter fare nulla“.
- BARRIERE: l’immissione di barriere delinea una limitazione delle mie possibilità. Se io mi considero una persona particolarmente sfortunata in un campo, automaticamente nascerà in me l’abitudine di non impegnarmi a portare a termine qualcosa o iniziare qualcosa che potrebbe avere effetti positivi. Nel caso di Luca ovviamente non possiamo sapere se chiedere a quella ragazza un caffè lo avrebbe portato a un risultato positivo, ma la certezza di non aver rischiato di avere un’altra delusione vale il rimpianto di non averci provato?
Attenzione, il racconto di Luca mette in campo aspetti psicologici relativi alla considerazione di se stesso come individuo sfortunato. Sebbene questo non ci faccia interrogare sull’esistenza o meno della fortuna, fa da tramite per gli effetti provenienti dal suo contrario, la sfortuna. Adesso, prima di saltare alle conclusioni mi interessa descrivere gli ultimi due meccanismi psicologici relativi a impotenza e barriere.
Meccanismi psicologici
Meccanismi psicologici conseguenti al chiedersi se esiste la fortuna?
- L’effetto Pigmalione, noto anche come effetto Rosenthal, deriva dagli studi classici sulla “profezia che si autorealizza“. E’ una previsione che si realizza per il solo fatto di essere stata espressa. Predizione ed evento sono in un rapporto circolare, secondo il quale la predizione genera l’evento e l’evento verifica la predizione. Nel caso di Luca come potrebbe essere interpretato? Per il solo fatto di considerarsi individuo sfortunato in campo sentimentale potrebbe far avverare la credenza di esserlo. In che senso? Attenzione, questo non vuol dire che se penso una cosa automaticamente questa si realizzerà. Con questo andremmo incontro all’effetto cosiddetto del pensiero magico, che non esiste assolutamente! Con questo meccanismo si intende piuttosto che nel momento in cui io nutro una forte credenza su qualcosa, CREO LE CONDIZIONI affinché essa si realizzi.
- Locus of control: questo meccanismo si collega al concetto di IMPOTENZA. Indica la modalità con cui un individuo ritiene che gli eventi della sua vita siano prodotti da suoi comportamenti o azioni, oppure da cause esterne indipendenti dalla sua volontà. Sono stati individuati due tipi di locus of control:
- Interno: che è posseduto da quegli individui che credono nella propria capacità di controllare gli eventi. Questi soggetti attribuiscono i loro successi o insuccessi a fattori direttamente collegati all’esercizio delle proprie abilità, volontà e capacità.
- Esterno: posseduto da parte di coloro che credono che gli eventi della vita, come premi o punizioni, non siano il risultato dell’esercizio diretto di capacità personali, quanto piuttosto il frutto di fattori esterni imprevedibili quali il caso, la fortuna o il destino.
Conclusioni
Se partiamo dal presupposto che la fortuna esiste e non la posso controllare, quali sono le conseguenze? Se io mi costruisco l’idea di essere sfortunato dopo una serie di eventi negativi quali sono gli effetti? Certo, chiunque potrebbe dire che effettivamente l’essere umano non può controllare tutto. Soprattutto se si parla di eventi di forza maggiore come malattie, incidenti ecc, chiunque potrebbe dirsi legittimato nella messa in gioco della (s)fortuna.
Si badi bene, questo articolo non si pone come una lista di consigli per spronarvi a vivere nella positività, oppure ad affrontare i periodi di crisi con forza e determinazione, senza lasciarsi abbattere ecc ecc. Certo, ovviamente ognuna di queste azioni sarebbe espressamente consigliata ma ripeterò sempre che molte cose sono più facili a dirsi che a farsi. Detto questo, si sa benissimo che affrontare le bastonate è un’impresa assai ardua e spesso gli episodi negativi avvengono a catena. Questo mette ancora più in dubbio le nostre capacità di resilienza.
L’invito dell’articolo, come anche l’esempio di Luca è di non cullarsi come spesso succede nell’idea di essere sfortunati in qualcosa solo perché effettivamente fino a quel momento “ci è andata male”. Questo abbiamo visto che può produrre seri effetti psicologici come impotenza e barriere, per non parlare dei meccanismi psicologici correlati. Non dimentichiamo poi il racconto del contadino, che ci ricorda che il tempo aiuterà sempre a vedere gli eventi da un’altra prospettiva.