“Perchè va tutto male?” – Sulla cultura della lamentela
Viviamo nella realtà della lamentela e della negatività, ma le basi sono ben più profonde e radicate di quanto ci si aspetti

La scelta della foto per questo articolo è stata difficile. Il tramonto è un momento poetico e particolarmente bello in determinate situazioni, ma è anche la fine della giornata. Le tonalità di rosso spento e la sensazione che l’ambiente sia vuoto in questa foto richiamano l’idea dell’estate che finisce e dell’avvicinarsi dell’autunno. Così, anche in presenza dello spettacolo del tramonto possiamo trovare la negatività che ne caratterizza le circostanze.
La complessità delle scienze umane
Ieri stavo scorrendo la home page del mio blog e ho notato finalmente il primo voto sul sondaggio ufficiale sul genere di articoli che vorreste vedere più spesso (che vi ricordo è anche in questo momento ancora aperto sulla sidebar laterale, o in basso se siete da cellulare). Ho aperto le statistiche e ho trovato un risultato inaspettato “Articoli di psicologia”.
Parlandone con una mia cara amica psicoterapeuta ho avuto l’osservazione che mi attendevo: “La gente è curiosa e la psicologia ha sempre incuriosito tutti“.
La mia obiezione era necessaria: “Si, ma io non ho intenzione di trattare ciò che si aspetta la gente, non è nei miei piani parlare di come si riconosce un bugiardo dal movimento della narice sinistra”.
Altrettanto necessaria è stata la sua risposta: “Certo, è per questo che devi essere fedele alla tua deontologia personale ed esprimerti con i tuoi modelli. Potrà essere sconvolgente per qualcuno ma è fondamentale che vada così“.
Decidermi a scrivere il primo articolo di psicologia e scienze sociali su questo blog è stata una lotta con me stesso. La psicologia è un campo davvero enorme e sconfinato che tratta innumerevoli argomenti da altrettanto diversi punti di vista. E’ per questo che l’occasione di “sbagliare” si nasconde dietro ogni angolo, dietro ogni frase espressa male, dietro ogni abuso di costrutto psicologico. Chi non è estraneo al campo della psicologia sa che spesso le tensioni interne fra gli esperti del settore sono inevitabili, spesso in merito al sostenere diverse linee teoriche, e al mio terzo anno di studi non posso neanche lontanamente ritenermi “esperto” in questa area della quale posso al più classificarmi come apprendista.
E’ per questo che, sebbene l’etichetta “Psicologia” sia bene in evidenza fra le categorie di questo post, la categoria “Frammenti” è anche di vitale importanza. Cercherò al massimo delle mie capacità di documentare alcune delle informazioni che andrò qui a riportare, non posso tuttavia prescindere dall’esprimere la mia personale soggettività sulla questione. In primo luogo perchè scrivere questo post deve essere per me un piacere, come fondamentalmente ogni attività che si compie con passione. In secondo luogo perchè il mio interesse è quello di fornire un contenuto originale e da me elaborato attraverso delle riflessioni, ben diverso da un semplice copia e incolla da siti che sicuramente hanno più dati sperimentali alle spalle, che però priverebbe il post del senso di base di questo blog: quello di trattare di storie, esperienze e riflessioni di vita vissuta.
Ciononostante questo deve rimanere comunque uno spazio di dialogo per chiunque voglia esprimersi, voglia ricevere chiarimenti o abbia informazioni in più (sempre nel limite del rispetto e della costruttività). Generare contenuti più completi e con più prospettive e l’obiettivo fondamentale per generare un dibattito a 360 gradi che permetta ad ognuno di riconoscersi negli argomenti trattati.
Così, forte di questa premessa, che sarà valida per ogni articolo futuro che scriverò in merito ai campi della mente umana, possiamo affrontare la questione del titolo: “Perchè c’è questa cultura della lamentela e della negatività dilagante?“
Le verità del senso comune
“Oggi è stata una giornata orribile“. Quante volte l’avete sentito? Quante volte l’avete detto voi? E’ una frase molto comune e si basa su dei dati che sono per la maggior parte delle persone che la afferma oggettivamente rilevabili. “Ho fatto tardi a lavoro, poi c’era un sacco di traffico per strada, ho saltato il pranzo perchè non avevo tempo, ho litigato con la mia fidanzata, ecc…“. Così si vive il resto della giornata aspettando che questa finisca il prima possibile per reiniziare da zero in maniera positiva.
Cerchiamo di analizzare le credenze e le idee alla base di questo comportamento, non dall’alto di un giudizio determinante, ma con una pura mentalità osservatrice.
Anche concedendoci la possibilità di scadere nel banale o nel senso comune più estremo, la giornata negativa per chi la descrive sembra partire dal primo evento negativo che si è verificato. Non solo in queste circostanze, ma nella maggior parte delle situazioni troverete ben poche persone disposte a pensare “Questa mattina mi sono svegliato ed è già una gran cosa positiva“. A questo punto il senso comune dice:
“E’ perchè lo diamo per scontato! Diamo la maggior parte della nostra vita per scontato e sappiamo valorizzare le cose solo quando le perdiamo“.
Una grande frase ad effetto che condivisa sulla bacheca di Facebook fa dire alla maggior parte delle persone “E’ proprio vero!” con sguardo accondiscendente, sebbene non aggiunga niente perchè da questa riflessione, inevitabilmente, ci siamo passati tutti.
Adesso, il senso comune è un grande metodo che permette alla maggior parte delle persone di vivere la loro vita quotidiana all’80% delle loro possibilità, senza troppi sforzi ed in maniera dignitosa, dal momento che si basa su delle verità condivise e modelli costruiti che in genere si rivelano funzionali per la maggior parte delle situazioni. Proviamo quindi ad accedere ai modelli alla base di queste prima verità di senso comune che abbiamo descritto.
Dietro l’aspettativa e il lieto fine
“Dare per scontato” è una costituente enorme di tutta la nostra vita. Il nostro cervello esegue un’enorme serie di operazioni ogni secondo quindi, a contatto con una realtà dei sensi particolarmente variegata e pervasiva deve selezionare costantemente cosa è davvero importante prendere in considerazione e cosa no.
Immaginate per un momento se ogni secondo doveste elaborare in maniera cosciente ogni singolo stimolo che vi arriva (il rumore di fondo della ventola del computer, il chiacchiericcio della televisione nell’altra stanza, i riflessi delle luci provenienti da fuori la finestra, ecc). Tutto l’ambiente diventerebbe estremamente rumoroso e non sareste più in grado di concentrarvi su quello che è veramente importante.
Alla stessa maniera nel corso della giornata la routine quotidiana si ripropone più o meno sempre nella stessa maniera, così di fronte ai problemi standard il nostro cervello non rielabora di volta in volta “cosa è il caso di fare”, ma riutilizza soluzioni preconfezionate già sfruttate nei giorni precedenti. In questo modo ottiene un risultato pur riducendo l’impegno al minimo essenziale.
Così quando inizia la vostra giornata il vostro cervello ha in linea di massima già presente cosa succederà, e si aspetta che le cose vadano in questa maniera.
“Tuttavia tutti sappiamo che le cose non vanno mai nella maniera in cui vogliamo, perchè il nostro cervello si crea questa illusione?”

La teoria del mondo giusto ci viene insegnati fin da bambini con le fiabe Disney sotto forma del classico “Lieto fine”. Con la crescita e lo sviluppo questa conoscenza diventa meno ingenua e soggetta ad una critica più realista.
Alla base c’è una connotazione della “Teoria del mondo giusto“1, una versione psicologica del Karma per la quale le persone tendono a pensare che le ingiustizie non esistono e che ognuno ha quel che si merita.
In due parole il bene vince e il male perde, sempre.
Di conseguenza, partendo dal presupposto che non abbiamo motivi di ricevere male dal mondo, ci aspettiamo che durante la giornata non si verifichino inconvenienti o almeno cerchiamo di sperarlo. E’ una funzione basilare del nostro sistema di sopravvivenza, perchè al momento in cui questa dovesse venire meno saremmo continuamente sconvolti dal timore che ci accadano ingiustizie o cose orribili, così, senza motivo. Se dovessimo portare agli estremi la preoccupazione per le ingiustizie ogni singola azione della giornata diventerebbe superflua, tanto “in futuro sicuramente succederà qualcosa che rovinerà tutti i miei piani e i miei risultati“.
Questo genere di pensieri mina uno dei bisogni fondamentali dell’uomo, quello di sicurezza, così come illustrato nella celebre piramide di Maslow2 oltre a violare il fondamentale Need for cognition3, la necessità che presentano tutti gli esseri umani di avere determinate certezze nell’esplorazione del loro mondo.
Alcune condizioni disfunzionali connesse all’ansia in clinica sono riconosciute ad esempio nell’Overthinking. Si tratta dell’improvvisa invasione della sfera cognitiva da parte di pensieri intrusivi, tipicamente con accezione negativa, che elencano tutte le cose che possono andare storte in relazione ad un determinato evento. Sebbene si tratti solo di un fenomeno mentale, l’Overthinking è da solo sufficiente a creare attivazione fisiologica simile all’agitazione di quando le cose vanno effettivamente tutte storte. Se dovessimo concederci la possibilità dell’inesistenza della teoria del mondo giusto, l’overthinking diventerebbe in molti casi un modello di ragionamento comune.
Così, al momento in cui durante la nostra giornata qualcosa va storto (in maniera negativa), si attivano una serie di risposte automatiche:
- La risposta emotiva negativa, ossia quella più scontata: “Mi è successo qualcosa di brutto ed io ci rimango male“
- La frustrazione derivata dalla rottura della pianificazione, della teoria del mondo giusto e di conseguenza la perdita della certezza, letteralmente “perdere il terreno da sotto i piedi“
- Lo sforzo cognitivo necessario a non affrontare più la situazione sfruttando il senso comune legato alla routine, ma mobilitando le risorse mentali necessarie per trovare una soluzione
L’azione combinata della perdita di controllo sulla situazione e della necessità di affrontare problemi imprevisti è anche una delle varie cause di stress psicosociale riscontrabili sul lavoro.
Gli errori sono estremamente importanti
Quello di cui abbiamo discusso fino ad ora riguarda le reazioni negative legate alle brutte cose che ci accadono durante la giornata. Questo tuttavia non spiega: “Perchè tendiamo a ricordare solo le cose brutte?“. Le basi di questa modalità di ragionamento sono fondamentalmente evolutive e ci hanno permesso di sopravvivere fino al giorno d’oggi.

La riuscita della missione di atterraggio della sonda Rosetta sulla cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko è diventata per un breve periodo fonte di lamentele nonostante l’enorme traguardo scientifico. Questo perchè, aldilà degli innumerevoli bias del senso comune implicati, l’idea della preservazione della specie (portando l’acqua in Africa ad esempio) è primaria rispetto ad un traguardo le cui conseguenze sono sconosciute e impalpabili ai più.
Mettiamoci per un momento nei panni dell‘uomo primitivo che va alla scoperta del suo mondo cercando delle bacche che siano commestibili, al fine di nutrire sé e la sua progenie.
Ad un certo punto il nostro uomo si imbatte in una pianta sconosciuta, decide così di assaggiarne le bacche per verificarne la commestibilità. A distanza di due ore si ritrova steso a terra in preda ai crampi allo stomaco, rilevando che effettivamente queste bacche sono indigeste alla sua specie.
Il giorno dopo sempre il nostro uomo scopre un’altra pianta sconosciuta e ne assaggia le bacche. Scopre che non solo sono commestibili ma sono anche molto buone.
Proviamo ora ad interrogarci su qual è la gerarchia di informazioni nel cervello del nostro uomo primitivo. Probabilmente sarà pressoché questa:
- Le bacche A sono altamente indigeste, sono assolutamente da evitare perchè potenzialmente letali
- Le bacche B sono commestibili e sono una forma utile di nutrimento
- Le bacche B sono molto buone
Questo perchè in tale maniera l’uomo primitivo si assicura:
- Innanzitutto la sopravvivenza della specie evitandone l’annientamento da cause esterne, elemento fondamentale per tutti gli esseri viventi
- In secondo luogo la sopravvivenza della specie attraverso l’accumulo di risorse di cui nutrirsi
- In terzo luogo il piacere edonico dell’individuo singolo
Fin dalla preistoria quindi l’uomo è stato letteralmente educato a memorizzare quali sono i possibili pericoli e le possibili negatività disposte nell’ambiente, al fine di favorire un evoluzione fruttuosa per la sua specie. In quale maniera questo si esprime nell’uomo moderno?
Il nostro cervello preferisce ricordare il nero
Una caratteristica fondamentale è relativa all’effetto “Endowment”4, il principio per il quale un oggetto che ci appartiene assume più valore solo per il fatto che ci appartiene.
La declinazione di questa teoria è che, a fronte di un guadagno o una perdita dello stesso quantitativo di soldi, la perdita risulta molto più dolorosa della vincita. Questo può sempre ritrovare riscontri nella teoria evoluzionista, dal momento in cui in previsione di periodi di magra conservare le risorse era una funzionalità fondamentale rispetto alla possibilità più astratta di raddoppiarle.
Cosa accomuna gli ultimi argomenti di cui abbiamo discusso?
Il fatto che tutti questi avvenimenti legati alla sopravvivenza siano connotati emotivamente in maniera negativa è sì da un lato relativo all’evitamento dei pericoli nell’ambiente, mentre dall’altro al fatto che connettere emozioni ad episodi ci permette di ricordarli più facilmente.
Se riflettete sui momenti più importanti della vostra vita che riuscite a richiamare in questo momento, noterete che si tratta per la maggior parte di eventi con una forte connotazione emotiva, sia essa positiva o negativa. Questo perchè a livello biologico il nostro cervello è diviso in tre sezioni:
- Tronco encefalico, responsabile di tutte le funzioni di base, come mangiare, dormire, riproduzione, ecc.
- Sistema limbico, responsabile delle funzioni emotive, istintuali e di memoria
- Neocorteccia, responsabile delle funzioni superiori sociali e di elaborazione sensoriale

La tripartizione cerebrale così come distinta da Mc Lean. Il cervello neomammifero è la neocorteccia, quello paleomammifero è il sistema limbico, mentre quello rettiliano è il tronco encefalico.
Come potete notare la connessione nel sistema limbico fra memoria ed emozioni è piuttosto stretta, soprattutto in quanto mediata dall’Amigdala, una piccola parte del cervello responsabile della paura, di diverse funzioni di elaborazione sensoriale e della connessione fra sistema emotivo e memorizzazione.
Posta questa base teorica è evidente quello che succede: se durante la nostra giornata succede ciò che ci aspettavamo seppure positivo (un buon pasto, aver incontrato un amico, aver avuto dei complimenti) questo non è sufficiente a generare emozioni tali da rendere l’evento memorabile. Senza contare che queste informazioni, seppure piacevoli, non risultano affatto necessarie alla sopravvivenza dell’individuo.
Al contrario, la forte attività emotiva generata dalla rottura dei nostri piani, dall’inaspettato, dalle perdite, attiva un processo di memorizzazione molto più determinante. E’ il nostro cervello che ci dice “Questo non si deve ripetere mai più, ricordatelo bene“. E nel contempo, anche passata la problematica, elabora un senso e una possibile soluzione per la prossima volta che questa si ripresenterà (da qui il rimuginare che continua a ripresentare mentalmente le brutte cose che ci sono successe).
Anche in presenza di eventi positivi l’importanza per la sopravvivenza degli eventi negativi è nettamente superiore: è molto più utile per il nostro cervello ricordare questi ultimi.
Due parole sulla società
Abbiamo ridotto gran parte di questa analisi ai concetti della psicologia generale e sociale. Tuttavia rimane un interrogativo fondamentale: “Con questi meccanismi di negatività che pervadono il pensiero di tutti, come risponde l’intero sistema sociale?“. A tale proposito voglio fermarmi su una riflessione che mi veniva spontanea mentre studiavo dal mio libro di sociologia ieri sera.
“Un potere che sia capace di inquadrare la società […] deve necessariamente intrecciare i modi di pensare, i media, la cultura, la lingua, la filosofia, la cultura popolare, la chiesa”5
Leggendo questa frase di Stuart Hall in riferimento alle idee di Gramsci, mi sono chiesto in quale maniera questa teoria si verificasse in Italia.
“In Italia sono tutti scontenti sempre del potere, quindi evidentemente i nostri governatori non sono molto capaci ad inquadrare la società” è stata la mia osservazione mentale, che quasi ironicamente ricadeva automaticamente nello stesso principio che andavo ad analizzare immediatamente dopo.
Se in Italia c’è la cultura della lamentela, un potere che sappia intrecciarsi con la cultura non deve sopprimere la lamentela, anzi, deve permetterle di sfogarsi. Le forti voci di protesta, di rabbia e di indignazione non sono altro che l’eco di un perfetto sistema che sa come tenere paradossalmente contenti i suoi cittadini.
Se qualcuno di voi ha visto l’ultima stagione di American Horror Story si sarà fatto un’idea di ciò di cui parlo. Per chi non l’avesse vista in breve la trama parla dello svilupparsi di una setta in corrispondenza della vittoria alle elezioni di Donald Trump. Il fondatore del culto, Kai Anderson, basa le sue tattiche carismatiche di persuasione sulla paura. Instillare la paura nelle persone infatti le rende fragili nei termini in cui queste cercano protezione e sicurezza da chi gliela può offrire.
Si tratta di un grande contributo culturale e di intrattenimento che consiglio di vedere a chiunque non sia facilmente impressionabile.
Allo stesso modo interroghiamoci sul successo di politici che aggrediscono un nemico comune, che si lamentano dell’inefficienza del sistema, che parlano in termini emotivi innalzando la paura e l’insoddisfazione delle persone. Il crescere dell’emotività, l’alzare la voce, l’erigersi a titolo di un movimento che vuole “curare” le mille ingiustizie che si verificano ogni giorno, non è forse ancora di più un gioco sui meccanismi dei quali abbiamo parlato, che mira a rendere la gente ancora più scontenta e paradossalmente ancora più a suo agio?
La gestione sociopolitica è un argomento incredibilmente complesso sul quale ritengo di avere ancora meno competenze di quelle che possiedo sugli argomenti appena trattati. La mia vuole essere una provocazione, una riflessione critica sui contenuti ai quali ci affacciamo ogni giorno, sul modo in cui è il nostro cervello a scegliere per noi cosa è meglio per noi, spesso senza il nostro consenso.
In conclusione
E quindi questa è stato la nostra prima trattazione umanistica su un argomento che mi stava particolarmente a cuore. Spero, se non di aver soddisfatto le vostre curiosità, almeno di aver fornito degli spunti di riflessione sulla situazione che gradirei assolutamente sapere leggendo i vostri commenti qui sotto. La psicologia positiva è un ottimo argomento che potrebbe accostarsi a questo, così sto prendendo in considerazione di scriverci un approfondimento molto presto, in base alle risposte che avrò a questo articolo.
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Note
- Melvin J. Lerner, The Belief in a Just World: A Fundamental Delusion, Mew York, Plenum Press, 1980
- Maslow, Abraham H., Motivazione e personalità. Roma: Armando, 1973
- Cacioppo, John T.; Petty, Richard E. (1982). “The need for cognition“. Journal of Personality and Social Psychology. 42 (1): 116–131
- Kahneman, D., J. L. Knetsch, e R. H. Thaler, 1990, “Experimental Tests of the Endowment Effect and the Coase Theorem,” Journal of Political Economy 98 (6), 1325-1348.
Kahneman, D., J. L. Knetsch, e R. H. Thaler, 1991, “Anomalies: The Endowment Effect, Loss Aversion, and Status Quo Bias,” Journal of Economic Perspectives 5 (1), 193-206. - Stuart Hall, La cultura e il potere. Conversazione sui «Cultural studies», Meltemi Editore srl, 2007