Cittadinanza attiva e Psicologia sociale: una rapida guida – Prima Parte

Tempo di lettura medio: 10 minuti

La nostra partecipazione alla vita della comunità è spesso ostacolata da alcuni meccanismi spiegati dalla psicologia sociale, che tendono a riportarci alla conformità o a disperdere le nostre responsabilità. Vediamo insieme quali.

Come ho anticipato in precedenza su tutti i social network legati al blog, il 18 gennaio ho tenuto un intervento all’incontro conclusivo del corso sulla cittadinanza attiva che si è tenuto a Taranto fra dicembre e gennaio. Nel corso dell’intervento ho presentato alcuni dei meccanismi che ci impediscono di seguire al 100% il nostro ruolo di “Cittadini attivi” e ci portano a coltivare una forte sfiducia nella possibilità di generare cambiamenti con le nostre azioni. Sempre in tale occasione ho promesso che avrei provveduto a caricare le slide dell’intervento qui, sul blog, e finalmente sono qui a mostrarvi e commentare l’intervento sperando di lasciare qualcosa anche a voi lettori del blog che non avete potuto presenziare.

Due principi base della psicologia

Prima di entrare nel vivo delle danze ho preferito introdurre due principi fondamentali per rendere tutto il mio intervento in qualche modo utile. Se non partiamo da questi due principi non saremo poi in grado di assimilare le informazioni che andremo ad incontrare dopo, perchè ci porremo nei loro confronti con lo sguardo di chi osserva e fa “Che stupida questa gente!” senza renderci conto che ricadiamo in queste meccaniche praticamente quotidianamente, tutti quanti.

  • Non abbiamo il pieno controllo delle nostre azioni; spesso ad esempio facciamo cose impulsivamente e poi ce ne pentiamo dicendo “Ma io non lo pensavo veramente!” oppure “Non era nelle mie intenzioni farlo!”. Ancora, le truffe si basano proprio sui “punti ciechi” della nostra consapevolezza, portandoci a fare cose di cui non ci rendiamo conto per poi ritrovarci a dire “Ma cosa ho fatto? Ma era evidente che mi stessero truffando”.
  • Ogni azione ha una sua motivazione che i nostri valori possono rendere invisibile. Se vogliamo portare un vero cambiamento nelle cose non possiamo fermarci alla prima reazione iniziale alle informazioni. Quante volte capita nella nostra vita di vedere notizie tragiche in televisione, farci prendere dalla rabbia e dalla indignazione e proporre soluzioni a “testa bassa” che molto probabilmente sono irrealizzabili o poco efficienti? Ogni volta che la nostra rabbia prende il controllo la nostra capacità critica si riduce, impedendoci di vedere le cause dei problemi (le motivazioni): in situazioni di valutazione l’ideale è cercare di mantenere la calma e analizzare criticamente quello che sta accadendo per proporre poi un intervento mirato alla base del problema e non alle sue conseguenze.

La Smoke-filled Room

Qua sotto il video a cui fa riferimento la slide

La slide successiva è mirata a dimostrare come effettivamente non abbiamo pieno controllo delle nostre azioni, raccontando uno studio ormai classico ad opera di Latanè e Darley: la smoke-filled room.

Come potete osservare dal video, in questo studio viene posta una persona in una stanza a svolgere un compito di un determinato compito (come ad esempio compilare un questionario). Dopodichè dalla porta della stanza viene fatto entrare del fumo, come a simulare che l’edificio stia andando a fuoco o comunque che si stia prospettando una situazione di pericolo.

  • Se l’individuo è da solo nella stanza, nel 75% dei casi si alza tranquillamente e va a contattare lo sperimentatore nell’altra stanza per avvisarlo dell’inconveniente.
  • Se l’individuo è nella stanza con altre persone (complici dello sperimentatore) che, nonostante il fumo, si ostinano a continuare a compilare il questionario senza fare una piega, il soggetto sotto osservazione cerca di concentrarsi sul questionario senza dire niente, nonostante il suo disagio e la sua preoccupazione per la situazione aumentino progressivamente ed in maniera visibile. Solo nel 10% dei casi alla fine il soggetto si convince a chiedere aiuto allo sperimentatore.

Onestamente durante l’intervento ho ricevuto le reazioni che mi aspettavo (le più comuni anche nei corsi di psicologia sociale). La gente inizia a guardarsi e a commentare divertita sull’inettitudine della persona nel video. Se l’avete pensato anche voi non c’è niente da stupirsi, è piuttosto comune pensarlo e spiegheremo anche perchè nelle slide successive.

Iniziamo tenendo conto del fatto che questo esperimento è stato condotto non solo sulla signorina del video, ma su ben 10 soggetti diversi (con 9 che si comportavano proprio come la signorina di cui sopra).

E’ ancora difficile tuttavia entrare nell’ottica del fatto che forse anche noi ci saremmo comportati nella stessa maniera, quindi parte spontanea la domanda:

Ed è anche attendibile essermi ritrovato con molte mani alzate (e che lo pensiate anche voi dietro lo schermo in questo momento). Vanno un attimo quindi riconsiderate le proprie idee, almeno per quanto riguarda il nostro pubblico di Taranto, di fronte alla slide successiva.

Eh sì, purtroppo quando si prende parte ad un corso di Cittadinanza Attiva ci tocca distaccarci un po’ dal campo neutro della teoria per confrontarci sul campo controverso dell’attualità. Ed è indubbio, anche a livello delle immagini, che le situazioni di cui stiamo parlando non siano poi così distanti (o almeno non lo sono state per diversi decenni, prima che nascessero i movimenti di opposizione all’inquinamento della città di Taranto). Ci sentiamo ancora molto diversi dalla signorina del primo video?

L’errore fondamentale di attribuzione

Come vi accennavo prima però è naturalissimo che tutti a primo acchito pensino “Ma io non mi comporterei mai in questa maniera, è incredibilmente stupido!“. Questo genere di pensiero a dire il vero si manifesta a fronte di tantissime situazioni nella nostra vita quotidiana. Un esempio simpatico e piuttosto comune è quando ad esempio vediamo i quiz televisivi e i partecipanti sbagliano una domanda molto facile, e subito parte l’aggressione verso il livello di cultura generale, la morte della meritocrazia, ecc.

A partire da questo concetto (non dai quiz televisivi) Heider nel 1958 idea il suo “Errore fondamentale di attribuzione“. Si rende infatti conto che tendiamo ad assegnare le cause delle cose agli elementi più evidenti di una situazione, di conseguenza quando si verificano degli eventi tipicamente troviamo più saliente la persona rispetto al contesto in cui è inserita.

In parole povere, sempre facendo l’esempio del quiz televisivo, non tendiamo a considerare che il concorrente è sotto stress perchè è in televisione e dalla sua risposta dipende un possibile guadagno, ma vediamo solo la persona che sbaglia una domanda e le assegniamo la colpa totale ignorando il contesto circostante che influenza l’azione. Un po’ come quando al liceo ridevate se un compagno sbagliava la risposta e il professore vi diceva “Cosa ridete, è facile ridere da posto!”.

Qual è l’atteggiamento mentale corretto da assumere a fronte di ciò? È fondamentale pensare che, sebbene sia importante mantenere delle opinioni e dei valori su quali siano i comportamenti corretti da adottare nelle situazioni, non siamo in grado di predeterminare come ci comporteremmo in una situazione se non la viviamo direttamente. Quindi la risposta alla domanda “Ma tu cosa avresti fatto?” è esattamente “Non lo so e non lo posso sapere, però forse avrei fatto nella maniera x, a partire dal mio punto di vista“.

L’esperimento di Asch e il conformismo sociale

Qua sotto il video a cui fa riferimento la slide

Per spiegare meglio l’influenza degli altri in relazione ai nostri comportamenti e alle nostre scelte, ho pensato di portare questo interessantissimo video tratto da un esperimento classico sul conformismo sociale, chiamato “Esperimento di Asch”.

Nel 1956 Asch decide di valutare come l’influenza del gruppo può cambiare le opinioni dell’individuo, sia a livello percettivo che decisionale. Come potete vedere nel video, una serie di individui deve dire quale, secondo loro, è la stanghetta più lunga fra una serie di stanghette. Dopo qualche prova i complici dello sperimentatore (tutti gli altri individui escluso il soggetto sperimentale) danno ripetutamente una risposta sbagliata sulla quale sono tutti concordi.

Nel 37% dei casi il soggetto sperimentale aderisce al resto del gruppo, dando a sua volta la risposta scorretta. Risulta particolarmente interessante a questo punto cercare di capire cosa avviene nella testa di questa persona quando decide di rispondere come gli altri.

In alcuni casi viene osservata quella che si definisce “Conformità Informativa”.
Vi è mai capitato quando siete in un ambiente affollato che una serie di persone, anche sconosciute, si giri ad osservare o ad indicare qualcosa e che anche a voi in tal caso venga spontaneo girarvi verso l’oggetto che ha attirato l’attenzione di questi individui?
Si tratta di un fondamentale meccanismo di sopravvivenza che sfrutta gli individui circostanti per valutare le possibili minacce presenti nell’ambiente, anche quando sono fuori dal nostro campo visivo.

Un estensione di questo meccanismo è che, a fronte di determinate percezioni sensoriali, tendiamo a considerare la possibilità che ci sia sfuggito qualcosa che magari gli altri hanno notato. E se tanta gente l’ha notato questo rafforza ancora di più la nostra convinzione, portandoci a credere realmente quello che gli altri individui riportano.

In altri casi il meccanismo dominante è quello della “Conformità Normativa”.
In tal caso l’unico fattore determinante è evitare la sensazione di disagio che si prova ad andare contro l’opinione comune del resto del gruppo, agendo come esclusi o devianti.

È infatti interessante notare come in questi casi, se si chiede al soggetto sperimentale di segnare su un foglio la sua risposta invece di dirla ad alta voce, l’effetto di conformità tende a svanire.

Il focus del nostro discorso rimane tuttavia la conformità informativa: ancora una volta ci rendiamo conto come i comportamenti di chi è intorno a noi possono influenzare addirittura la nostra capacità di relazionarci alla realtà che ci circonda. Questo chiarisce ancora di più, come avevamo accennato all’inizio, che effettivamente il nostro rapporto con la realtà non è puro e diretto, ma mediato da una serie di fattori che la alterano in maniera inconscia.

La prospettiva socio-costruzionista

Arriviamo dunque alla prospettiva portante del mio orientamento psicologico e fondamentale per capire quello di cui stiamo parlando fin dall’inizio.

Abbiamo detto che fondamentalmente la realtà alla quale ci approcciamo non è oggettiva e appare diversa agli occhi di ognuno di noi. Abbiamo anche visto con gli esperimenti precedenti che tale realtà viene fortemente influenzata dagli altri individui che ci sono intorno, anche a livello inconscio.

La prospettiva socio-costruzionista riassume entrambi i concetti per noi in maniera semplice e concisa. Ognuno di noi costruisce una propria realtà che viene mediata dalla relazione e dagli scambi che avvengono con altre persone. Facciamo un esempio molto semplice.

Francesco (nome scelto casualmente) è una persona splendida che fa volontariato, è amorevole verso la sua famiglia, ha un lavoro onesto, ed è simpatico, bello e carismatico. La nostra immagine di lui è radiosa e ce la siamo costruiti un po’ comunicando con lui un po’ in base a quello che sua moglie ci ha raccontato.

Un giorno incontriamo Giovanni (altro nome scelto casualmente) che ci racconta che un giorno Francesco gli ha rubato 5000 euro truffandolo. Sconvolti decidiamo di non credergli. Tuttavia, che abbiamo deciso di credergli o meno, la nostra immagine di Francesco in qualche modo si è modificata, rendendoci più sospettosi nei suoi confronti e ombreggiandola in qualche maniera. Abbiamo modificato la nostra realtà.

Per un esempio meno sociale e soggettivo è semplice invece pensare all’esperimento di Asch appena descritto, dove le persone modificano le loro idee sulle lunghezze dei segmenti sulla base della percezione degli altri individui del gruppo.

In conclusione (per ora)

In questa prima parte abbiamo analizzato come la nostra percezione della realtà non sia oggettiva come il senso comune ci porta spesso a credere. Interrompiamo l’articolo qui per non rendere il tutto troppo lungo e prolisso, ma vi diamo appuntamento a presto con i prossimi argomenti trattati all’interno della conferenza sulla cittadinanza attiva.

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Graziano Gigante

Graziano Gigante

26 anni. Laureato con lode alla magistrale in "Neuroscienze e riabilitazione neuropsicologica" presso l'Università di Padova, al momento si occupa di divulgazione su diversi canali (Instagram, Youtube, Facebook e il sito Scientificult). Cantante e sportivo nel tempo libero. Gli piacciono la psicologia, l'informatica, i videogiochi, i libri, la musica, i musei, i viaggi, la fotografia, la scienza e chi più ne ha più ne metta.

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