Di cosa soffro? – A cosa serve la diagnosi psicologica

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ragazza rannicchiata in un angolino-Di cosa soffro?-A cosa serve la diagnosi psicologica

Salve e benvenuti in questo nuovo articolo! L’argomento del quale parliamo oggi rappresenta un tema abbastanza delicato e molto discusso in ambito clinico, lungi da me quindi spiegarlo in maniera troppo complessa o tecnica affinché non risulti noioso. Ma bando alle ciance, mi interessa condurre i lettori sull’argomento attraverso la classica domanda: “Di cosa soffro?”. Questa domanda sta diventando sempre più frequente tra le persone, specialmente in quelle che si imbattono in psicologi o studenti di psicologia: “Ah ma tu studi psicologia, bellissimo! E dimmi, per caso mi potresti dire secondo te di cosa soffro?”; “Che problemi ho secondo te?” ; “Che tipo di personalità ho?“.

Queste sono solo alcune delle molteplici domande che sorgono non appena si incontra qualcuno nell’ambito di questi studi. A maggior ragione questo fenomeno mi porta a far luce sulla funzione della diagnosi psicologica e a cosa serve quest’ultima.

La diagnosi

colloquio-Di cosa soffro?-A cosa serve la diagnosi psicologica

Quando si parla di fare una diagnosi la prima cosa che viene in mente è di classificare la persona secondo un particolare disturbo. Da qui diviene lecito chiedere in termini banali di che cosa si soffra, è un po’ come dare per scontato che si soffra di qualcosa e lo psicologo possa venirne a capo subito. In realtà aver a che fare con una diagnosi psicologica è un po’ più complesso.

C’è da premettere che vi sono più tipi di diagnosi a seconda della persona che la fa e del contesto (psichiatri, medici ecc). Nel caso di una diagnosi psicologica ci si può servire di un insieme di procedure, tecniche, conoscenze, volte a definire e descrivere il funzionamento mentale di una persona sotto i più svariati aspetti, impliciti ed espliciti, nel rispetto della complessità di manifestazione e variabilità nel tempo di una personalità, cercando di cogliere il senso che la persona attribuisce alla sua vita e non trascurando la particolare fase evolutiva in cui essa si trova. La diagnosi mette in gioco quindi storia familiare, capacità di resilienza, modalità di dare significato agli eventi, sintomi ecc ecc. Insomma, fa leva su così tante variabili che risulterebbe impossibile approfondire in una sola seduta.

In una prima analisi quindi il lavoro della diagnosi si rivela abbastanza lungo, trattandosi di un processo dinamico in corso durante la terapia. Ma tornando al tema del “disturbo“, occorre riflettere sulla considerazione della psicopatologia in ambito clinico e come essa viene trattata. La psicopatologia è un argomento delicatissimo di cui  si rimanda per un approfondimento all’articolo sulla malattia mentale . Tuttavia saremmo ipocriti nel smentire il fatto che è utile per lo psicologo individuare pensieri o comportamenti patologici e non, al fine di un trattamento efficace.

Vantaggi e limiti della diagnosi

tiro alla fune-Di cosa soffro?-A cosa serve la diagnosi psicologica

I vantaggi della diagnosi come classificazione delle diverse forme di comportamento patologico possono essere:

  • permettere a clinici, ricercatori ecc di comunicare tra loro in maniera efficace;
  • facilitare la ricerca delle cause dei disturbi;
  • facilitare la scelta dei trattamenti che possono rivelarsi più efficaci per determinati disturbi.

Facendo un esempio, se un paziente viene categorizzato come borderline o schizofrenico, non è tanto l’etichetta diagnostica il fattore importante, quanto il fatto di come ci si andrà a comportare e quale tipo di trattamento potrebbe rivelarsi più efficiente per il soggetto. Lungo quest’asse la classificazione avrà quindi la funzione di orientare il da farsi nei confronti del paziente.

Se quanto appena spiegato potrebbe rivelarsi un vantaggio allora quali potrebbero essere gli svantaggi di una classificazione delle forme di comportamento patologico? Alcuni critici sostengono che i tentativi di categorizzare la psicopatologia facciano più male che bene, in quanto non esiste sistema diagnostico che possa rendere giustizia dell‘unicità dei problemi individuali. Tali sistemi potrebbero infatti portare a ridurre le persone in etichette ipersemplificate  e stigmatizzanti.

Un particolare sistema diagnostico é diventato la modalità standard di classificazione della psicopatologia, sistema a cui di solito ci si riferisce come DSM.

Che cosa è il DSM?

sguardo imbronciato-Di cosa soffro?-A cosa serve la diagnosi psicologica

l termine DSM è l’acronimo di Diagnostic and Statistical Manual of mental disorders ed è uno degli strumenti diagnostici per disturbi mentali più utilizzati da medici, psichiatri e psicologi di tutto il mondo. La prima versione risale al 1952 (DSM-I) e fu redatta dall’American Psychiatric Association (APA). L’attuale versione è il DSM-5. Questo sistema di classificazione é come una Bibbia per gli psichiatri, e utilizza principalmente un approccio categoriale per la classificazione. Cosa si intende per approccio categoriale? Vuol dire che cerca di individuare se una persona abbia o no uno specifico disturbo.

Generalmente il DSM richiede un numero minimo di sintomi raccolti per poter effettuare una corretta diagnosi. Ad esempio per il “disturbo antisociale di personalità” si parla di uno schema pervasivo di «disattenzione e violazione dei diritti degli altri» (APA, 2000), e di «tre (o più)» caratteristiche elencate, fra cui impulsività, incapacità di conformarsi alle norme sociali, e carenza di rimorso per aver fatto del male a qualcuno. Di solito richiede inoltre un periodo minimo di presenza dei sintomi per poter effettuare una diagnosi (generalmente alcuni mesi).

Se una persona rientra nei parametri minimi richiesti di un determinato disturbo, questa potrà dirsi associato ad esso. Ma se un soggetto non rientrasse nei parametri ma ci fosse vicino? Se ad esempio qualcuno risultasse avere quasi tutti i sintomi minimi richiesti per parlare di episodio depressivo maggiore eccetto che per uno? Non si potrebbe parlare di depressione in tal caso? Questa è una bella domanda, tanto che alcuni critici parlano di un sistema dimensionale nell’approccio alla patologia. Che si intende per dimensionale? Vuol dire che si basa sul concetto cardine di continuum tra comportamento normale e patologico. Tale sistema cerca di di individuare quindi in quale grado, lungo un continuum, la persona presenti le caratteristiche per un certo disturbo.

…quindi a che serve la diagnosi?

ragazza che parla-Di cosa soffro?-A cosa serve la diagnosi psicologica

Il sistema dimensionale è molto interessante perché più che valutare se una persona abbia o no uno specifico disturbo, cerca di determinare il grado con cui questo si presenta. Tale sistema consente un approccio indubbiamente più relativo nei confronti della patologia. Attenzione, questa osservazione non ha il fine di sminuire il DSM, ma di delimitarne la funzione. Esso ovviamente funge da guida, da punto di riferimento per monitorare e dirigere il terapeuta, il che è fondamentale.

Al giorno d’oggi, grazie ad internet, è diventato sempre più semplice informarsi sui possibili sintomi associati a un disturbo. Il che spesso porta alla cosiddetta sindrome dello studente di medicina, ovvero che leggendo alcuni sintomi ti chiedi se non ne stia soffrendo anche tu, o ti convinci che ne sei affetto.

Al di là di questo, comunque, occorre sottolineare il fatto che una buona diagnosi psicologica va ben oltre la semplice determinazione del disturbo. Essa mira a vedere la persona nel complesso, al di là di ogni etichetta diagnostica. Questo è importantissimo per non cadere nell’errore di guardare la depressione più che il depresso. Perché ogni depresso è diverso e  vige la regola che se ogni persona soffre, è anche vero che ognuno soffre a modo proprio. E’ importantissimo quindi partire sempre dal presupposto che ogni persona vada accolta nella sua unicità e irripetibilità.

Bibliografia

  • Hansell, J. A. M. E. S., & Damour, L. I. S. A. (2007). Psicologia clinica [libro]. Disponibile da ISBN 9788808067975

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Laura Caputo

Laura Caputo

22 anni e vive a Lecce. Laureata con lode in "Scienza e tecniche psicologiche" presso l'Università del Salento. Al momento studia "Metodologia dell'intervento psicologico" all'Università del Salento. Ha studiato per cinque anni pianoforte al Conservatorio di musica "Tito Schipa" di Lecce e tutt'ora segue privatamente lezioni di canto lirico. Le piacciono libri, cinema, sport e cibo!

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